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Mezzano a Primiero


Sagra del Carmine
in tempi andati

A metà di luglio Mezzano celebra la sua sagra grandiosa del Carmine. Essa ha risonanza per tutta la vallata ma ora ha assunto un aspetto diverso da quello che era nei tempi andati. Allora tutti i contadini erano sparsi sui monti per la fienagione, ma nei giorni precedenti la sagra, le massaie scendevano a fare la pulizia generale della casa come a Pasqua.
Non c’era acqua in casa e le fontane venivano Tortoletiprese d’assalto: si portavano là vetri, scansie, tutta la batteria di cucina e alla fine, al bel sole di luglio, luccicavano rami ed ottoni, allineati sugli steccati, dopo l’ultima risciacquatura. Intanto le sarte si accanivano intorno ai grembiuli multicolori sognati per la sagra da bimbe e dalle «tose» e le padrone di casa stendevano la sfoglia sulla spianatoia per il dolce tradizionale «i crostoli» che poi si accatastavano croccanti e inzuccherati in larghe ceste.
Anche nella chiesa secchie e secchie d’acqua avevano tutto lavato e reso lucente e la mattina della vigilia veniva tolta dalla nicchia la bella statua della Vergine e posta su un trono in capo alla navata centrale, tra ceri e fiori. Dal campanile intanto si spandevano nell’aria le note allegre del campano. Allora sui monti tutti i falciatori chiudevano le baite e scendevano giulivi. Il paese si animava. Arrivavano i rivenduglioli e c’era dappertutto un’aria di attesa. Il mattino seguente, ancora presto, tutto il paese era in chiesa. All’uscita poi tutta la piazza già rigurgitava di gente. I venditori erano ormai al loro posto. Ma quali venditori! Povera gente giunta dal Bellunese con carri e carretti carichi di frutta primaticcia e lunghe trecce di cipolle. E poi ambulanti con ceste, gerle e cassettine colme di certe buone cose che i bimbi d’oggi non degnerebbero neppure di uno sguardo, ma che per quelli di allora rappresentavano un’ora di felicità: c’erano paste brune spalmate d’una certa pastina bianca, e c’erano i mirtilli che una vecchia vendeva per un soldo al bicchiere. Una macchietta di vecchio vendeva galletti di terracotta, dai quali soffiando in coda, usciva un fischio da turarsi le orecchie. Non mancava l’omino delle «fortune» che vendeva anche spille e catenelle da cinque soldi. V’era, tra tanti, anche qualche bancarella d’importanza, come quella degli scampoli e fazzoletti e l’altra delle falci, accette e coltelli. Ma il vero paradiso dei bimbi era nientemeno che in un fienile dai larghi portoni che si aprivano sulla piazza. Là dentro il «Bortoletto» allestiva ogni anno un lungo banco con su cavallucci, carrettini, sonaglini, trombette, schioppetti, bamboline, girandole e fischietti: un sogno! Il sogno di tutti i bimbi di Mezzano! In quel portone entrava e usciva di continuo una piccola folla, che diffondeva intorno i suoni più disparati. e discordanti, un finimondo che però, anziché infastidire, metteva in tutti il buon umore. E un senso di solennità e allegria mettevano gli spari dei mortaretti che allineati dietro il muro del cimitero venivano fatti esplodere a intermittenza ai momenti più salienti della Messa solenne e al Magnificat del Vespro. Però il punto più suggestivo era quello in cui uscivano, in divisa azzurra e diadema in capo, i quattro coscritti prescelti a levare per la processione la bella statua della Vergine del Carmine. Suonava l’organo, il coro intonava le litanie solenni e la statua, seguita dal clero, torceri e chierichetti Bocce per le caniselein gran pompa, dopo un leggero ondeggiare, s’avviava sulle strade del paese, seguita da uno stuolo interminabile di gente.
Nelle case ogni mensa aveva i suoi doni. Il piatto più desiderato era la pasta condita, che non era altro che pasta asciutta con burro e salsa di spezzatino. Tra amici e fidanzati usava scambiarsi piccoli doni detti propriamente «la sagra». Dopo l’imbrunire le famiglie andavano in comitiva all’«osteria» a bere la birra.
Il giorno seguente era detto il Carmenin. Si celebrava una Messa votiva e poi molti continuavano a far festa anche se la maggioranza dei paesani era risalita ai monti. Un gruppo di allegroni girava per tutto il paese giocando a bocce. Il percorso era lungo e le partite continuavano tra canti e bevute e allegria a non finire finché verso sera il chiasso cedeva alla quiete e il paese restava quasi deserto.

Tratta da: Mezzano… tempi passati
di C. Corona

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