da il Corriere delle Alpi del 13 Luglio 2009, pagina 1
FELTRE. La città si è riconsegnata ieri nelle mani di Massimiliano I d’Asburgo. Ricordo di un giorno fausto del 1509, giusti 500 anni fa, al quale seguì un altro giorno infausto assai: l’imperatore un anno dopo diede Feltre alle fiamme. Storia o folclore, tutto va bene. Nell’attesa del Palio (che ricorda la dedizione di Venezia), ieri si è svolto un corteo in costume. Preceduto da polemiche. Il sindaco Vaccari: «Spiace che questa buona intenzione sia stata mal interpretata perché la volontà è solo quella di ricordare la storia, come insegnamento per il futuro».
da il Corriere delle Alpi del 13 Luglio 2009, pagina 12
FELTRE. Tutto fa storia, anche la consegna delle chiavi della città ad un imperatore che dopo un anno la darà alle fiamme, scrivendo una delle pagine più nere della sua storia. Nell’attesa del Palio, che la riporterà su vicende più conosciute, Feltre ieri si è rimessa nelle mani di Massimiliano I d’Asburgo. E nella rievocazione, un po’ a sorpresa, è entrato anche il sindaco Vaccari.
Di velluto blu vestito, nei panni di quel Girolamo Lusa che nel 1509, incaricato dal Gran consiglio, spianò l’ingresso della cittadella al duca Von Braunschweig, rappresentante degli Asburgo, il sindaco-senatore si prende un ruolo di primo piano nella messa in scena allestita di fronte a porta Imperiale, davanti a poco più di un centinaio di curiosi, magari non proprio turisti e non accorsi appositamente per l’evento ma pur sempre affascinati dall’insolito spettacolo.
Preceduta (e presumibilmente seguita) da polemiche, la manifestazione promette di essere solo il primo tempo della “recita” in due atti che fra un anno richiamerà alla memoria anche il seguito della vicenda, con Feltre (e Venezia) che cambia campo, si allea con i francesi (nemici nel 1509) e con questi va contro gli Asburgo. I quali faranno pagare alla città un conto di morte e distruzione.
L’arrivo degli Asburgo, però, nel 1509 fu una festa e durò diversi giorni. L’atto iniziale è quello riportato in strada ieri, dopo una messa celebrativa in duomo durante la quale don Giulio, con molto equilibrio, invita tutti a distinguere fra storia e folclore e allontana anche i commenti più velenosi per una celebrazione considerata, da alcuni, troppo pomposa: «Il Te Deum Laudamus», dice nell’omelia, «può essere recitato anche tutti i giorni». Come dire che non dev’essere per forza un’occasione speciale.
Dalla cattedrale al centro sfilano in corteo i nobili feltrini, una bella dama con la chiave della città e - con una concessione alla storia - anche il personaggio del vescovo Antonio Pizzamano, composto e allineato dietro il gonfalone. A ruota, ma con uno scarto di duecento metri, prontamente occupato da auto in transito (l’isola pedonale scatta come al solito solo all’ultimo momento per non dar fastidio agli automobilisti della domenica), i figuranti di Port’Oria, tamburini e sbandieratori, chiamati alla parte in virtù del loro stemma, simile a quello degli Asburgo. Dietro di loro gli austroungarici imperalisti, con un manipolo di soldati al seguito (in realtà nel 1509, secondo la “bibbia” storica del Cambruzzi erano seicento, oggi sono solo quattro, perché il reclutamento delle comparse non è mai facile).
Il clou di fronte a porta Imperiale, dove il sindaco, visibilmente compiaciuto, si concede il colpo di teatro: compare in scena, annunciato dalla speaker di corte, consegna le chiavi a Massimiliano I, che le mostra alla folla e a cavallo conquista via Mezzaterra, e poi prende il microfono per spazzare via le polemiche di questi ultimi giorni: «Oggi ricordiamo quello che nel 1509 era stato vissuto come un giorno fausto e che poi invece non si era rivelato tale», dice. «Spiace che questa buona intenzione sia stata mal interpretata perché la volontà di fondo è solo quella di ricordare la storia, come insegnamento per il futuro». L’applauso del pubblico promuove l’arringa del sindaco. Il suo vice - quello vero, della giunta di oggi - ossia Ennio Trento, a pochi passi sorride, vestito come un uomo del terzo millennio: «Perché non ho una parte? Sono assessore alla cultura, io la storia la conosco...». Ma è solo una battuta, ovvio. E magari fra un anno in scena ci sarà anche lui.
da il Corriere delle Alpi del 13 Luglio 2009, pagina 12
FELTRE. E poi c’è l’altra storia, anche quella - o soprattutto quella - da ricordare. È la storia dei feltrini trucidati dall’impero in ritirata, in una città che va a fuoco. A loro hanno pensato Giovanni Perenzin, lo storico, e l’ex sindaco Giovanni Turra, che insieme ad un paio di amici, mentre in centro si rievoca l’ingresso degli Asburgo, raggiungono il monumento ai caduti e in silenzio, senza sbandieratori e senza cerimonie, depongono una corona d’alloro ai «feltrini trucidati 1509-1510». È la contro-rievocazione oppure solo un altro modo di leggere la storia, partendo dal finale.
«Noi preferiamo ricordare i quattrocento uomini, capifamiglia feltrini, che furono assassinati nel 1510 dai lanzichenecchi asburgici», dice Perenzin. Che invece glissa sul Te Deum cantato in cattedrale. «Le parole di don Giulio sono state molto equilibrate», commenta invece Turra, ex sindaco e ora consigliere Pd. «D’altra parte ha sottolineato la differenza tra folclore e storia».
Non c’è intento polemico, nell’altra faccia della stessa manifestazione. O forse sì, ma è velato. C’è più che altro la sincera intenzione di ricordare le vittime di quell’anno infausto: donne violentate, uomini uccisi, devastazione. E in questo senso Turra non trattiene una smorfia quando gli riferiscono del sindaco Vaccari vestito da Lusa, che entra da protagonista nella celebrazione. «Questo aspetto», dice, «sarà oggetto di un’interrogazione. Dovrà spiegare al consiglio perché l’ha fatto». Lontano dalla folla, i quattro depongono la corona e poi si allontanano. L’eco dei tamburi di Port’Oria arriva fino al monumento, sono le due facce della stessa medaglia, due pagine della stessa storia. In qualche modo, ieri, Feltre è riuscita a ricordarle entrambe.
da il Gazzettino del 13 Luglio 2009, pagina XII
FELTRE. «Giunse il 1 luglio a Feltre l’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo incontrato e ricevuto da feltrini con segni non ordinari di allegrezza». Così un documento riporta l’entrata in città dell’imperatore asburgico nel 1509 quando Feltre decise di passare dal dominio veneziano a quello centro europeo. Ieri si è svolta la rievocazione di questo importante passaggio storico con la 4ª edizione della Festa Asburgica. Già al mattino il corteo storico si è recato nella cattedrale feltrina per la messa. Al termine della cerimonia i figuranti hanno percorso le vie del centro cittadino fino alla Porta Imperiale dove è stata rievocata la consegna delle chiavi. Nella storia il nobile feltrino Girolamo Lusa, su permesso del Doge di Venezia, consegnò, con il gesto della donazione delle chiavi, il potere sulla città in mano a Erich Von Braunschweig, incaricato dell’imperatore e Feltre non fu più dominio della Serenissima Repubblica. In quel momento correva l’anno 1509 ed era il 18 del mese di giugno. Trasportata nel tempo fino ai giorni nostri, la consegna delle chiavi, ha avuto un significato particolare: di apertura anche ai giorni nostri Feltre verso altri confini. Infatti ad impersonare Lusa è stato il sindaco Gianvittore Vaccari con Toni Pian nel ruolo di Von Braunschweig.
Giovanni Cappellari - Pedavena
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