È morto Otto d’Asburgo, diretto discendente di casa d’Austria. Se n’è andato a 98 anni e per la sua longevità in condizioni di discreta salute e lucidità c’è stato sicuramente il sostegno di un angelo custode d’eccezione: il papà Carlo che il mondo terreno ha beatificato 7 anni fa.
Franz Josef Otto Robert Maria Anton Karl Max Heinrich Sixtus Xaver Felix Renatus Ludwig Gaetan Pius Ignatius von Habsburg-Lothringen (più semplicemente Otto o Ottone): lo ricordiamo 5 anni fa in visita a Feltre per la riscoperta della targa Karl Platz in piazza Maggiore.
Nel terzo millennio, dove il sistema repubblicano delle nazioni mittel-europee ha consegnato alla storia conti, duchi e teste coronate, può sembrare anacronistico sapere che si stanno svolgendo due settimane di funerale, dalla Baviera fino all’Ungheria, per il discendente di sovrani detronizzati da quasi 100 anni. La salma di Otto d’Asburgo è partita il 5 luglio da Pöcking sul lago di Stramberg nei sobborghi di Monaco, terra della prozia Elisabetta, la donna che la letteratura ha reso immortale chiamandola Sissi. Lì da anni Ottone s’era ritirato dopo aver lasciato tutti i suoi impegni che andavano dalla funzione di ambasciatore dell’Unione Europea alla presidenza del Three Faiths Forum, un gruppo pacifista britannico per raggiungere la collaborazione tra le tre maggiori religioni del mondo. In treno giungerà a tappe fino a Vienna, là verrà sepolto nella cripta dei Cappuccini assieme agli uomini che dal 1633 hanno condizionato la storia di mezza Europa, non piegandosi nemmeno alle devastazioni napoleoniche e arrendendosi solo di fronte al macello della Grande Guerra. Il viaggio terreno di Otto non terminerà nella capitale austriaca. Da tradizione il suo cuore verrà portato in Ungheria, l’altra “testa” dell’aquila imperiale.
Tutto ciò mi ha fatto tornare alla mente anni fa quando passai a trovare con mio padre il maestro Luciano (Brunet). “Maestro” ovviamente non in termini massonici, ma per quella era la sua umile e spiritualmente nobile professione. Lo “disturbammo” mentre riguardava in videocassetta i funerali di Zita di Borbone (madre di Otto e moglie del Beato Carlo I). Ero piccolo e mi sembrava assurdo oltreché estremamente noioso un VHS di 240 minuti di registrazione dalla tv austriaca (pertanto in tedesco) sui requiem di una persona lontana che non compare nemmeno sui nostri testi scolastici. Solo il tempo mi ha aiutato a comprenderne il senso, e la solennità del momento. Di quanto anche il nostro Primiero sia legato a queste persone d’“altri tempi” che ancor oggi portano avanti una tradizione e una memoria importante oggi più che mai. Persone che indubbiamente nei secoli scorsi hanno avuto posizioni privilegiate ma nello stesso tempo si caricavano sulle spalle ogni responsabilità del destino di milioni di persone. Anche dopo la loro “caduta”, quando gli Asburgo si opposero al Nazismo e alcuni di essi conobbero i campi di concentramento. Non è poi un caso che Carlo sia stato beatificato da Giovanni Paolo II e che lo stesso Otto abbia vissuto una vita coraggiosa e responsabile anche quando il suo ruolo era solo formale. Un uomo e padre modello, genitore di 7 figli tra cui Georg, anch’egli visto recentemente a Feltre, presidente tra le altre cose della Croce Rossa ungherese.
Nobiltà d’animo prima che di etichetta, senza pubblicità a sottaceti né performance culinarie con Signorini, né vivendo tra champagne e ballerine vendendosi ai gossip in matrimoni faraonici. Non stupisce quindi che 23 anni fa scesero per le strade a dare l’ultimo saluto a Zita 40.000 persone in un’Austria orgogliosamente repubblicana. E se ne aspettano altrettante in questi giorni per il passaggio del “piccolo” Otto.
L’impero che andava dal Trentino all’Ucraina non c’è più. Ma un attimo di commozione ci prende alla notizia della chiamata al Signore di Otto, “umile peccatore” (così deve presentarsi per varcare la porta dei Cappiccini, sua ultima dimora), rappresentante della dinastia che, una volta detronizzata, ha lasciato un vuoto incolmato nel cuore di Europa che s’è vista smarrita.
Con lui arriva agli occhi ancora l’immagine dello sguardo di quel signore dalla lunga barba bianca raffigurato sui quadri appesi nelle camere della nostra valle, rimasti anche dopo il 1918 e fatti sparire dal Fascismo. Quel prozio di Otto che sulle carte bollate veniva chiamato Imperatore, ma che per le canisèle era semplicemente Cecco Beppe.
Buon viaggio Otto, che anche lassù la fede “gli sia sostegno, e regga noi con saggio amor”.
Marco Depaoli
Approfondimenti
L’Austria si inchina all’ultimo imperatore - di Fausto Biloslavo
Ma i Savoia sono un’altra storia (purtroppo) - di di Giordano Bruno Guerri
da Il Giornale del 7 luglio 2011
Il programma dei funerali di Otto
I funerali a Vienna alla presenza di 600 Schützen da tutto il Tirolo
Video del 16 luglio 2011 - dalla tv austriaca
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