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Storie


Davvero nemici?

Prima della dichiarazione di guerra degli Asburgo alla Serbia, Italia e Austria erano legate da un trattato di alleanza. Un’alleanza che durava da 30 anni e che esordiva nell’Articolo 1 con «Le Alti Parti contraenti si promettono pace ed amicizia e non entreranno in nessuna alleanza o impegno diretto contro alcuno dei loro Stati». I buoni rapporti di vicinato tra i due Stati, tra i quali il Tirolo e soprattutto la provincia di Trento si trovavano a farne da cuscinetto, non erano solo sulla carta ma, in special modo lungo il confine italo-tirolese, erano una realtà concreta. Sia in termini commerciali sia di cortesia, in altre parole ottimi rapporti di buon vicinato. In terre più lontane a maggior ragione, sia gli italiani sia gli austriaci erano consapevoli della reciproca diversità ma il revanchismo dannunziano e irredentista, o di riconquista del Lombardo-Veneto, era nel cuore non certo della maggior parte della gente comune.
Un desiderio di quieto vivere del quale ne è dimostrazione la grande festa per l’inaugurazione della Ferrovia in Valsugana che avrebbe collegato finalmente Bassano (Italia, e quindi Venezia) a Trento (Austria). Un’inaugurazione a pochi mesi dal macello della Grande Guerra con i soldati delle due potenze al medesimo tavolo a brindare insieme, per l’ultima volta. Poco dopo si troveranno a spararsi contro.
Nei diari di chi è stato al fronte si trovano anche momenti di scambio di cibo e tabacco tra soldati degli opposti schieramenti, quando il logoramento da trincea, il freddo e la malattia erano mostri comuni e non c’era ragione nell’uccidere uomo che si aveva di fronte se non per evitare di essere a propria volta uccisi, dal “nemico” o dalle retrovie del proprio esercito con l’accusa di “diserzione” o peggio.
Non sono poche le persone, a distanza di decenni e generazioni, alle quali il destino porterà l’avere un nonno orgogliosamente Kaiserjäger e un nonno valoroso Alpino. Per chi ha avuto la fortuna di chiedere loro cosa ne pensassero della guerra, generalmente la risposta era il forte desiderio che accumunava tutti i ragazzi coinvolti in quel massacro di tornare a casa dalla mamma, dai figli o dalla propria sposa. (m.d.)

Riportiamo queste brevi righe con fotografia segnalateci dal sito nota World War a firma “El Tiroles” in data 26 agosto 2008.

Ecco la foto della Compagnia dei Kaiserjäger con la quale ha combattuto nel tempo della Grande Guerra 1914-1918 il mio amato nonno paterno del quale ho ricordi bellissimi, (qui lo vediamo in piedi in seconda fila, terzo da sinistra per chi guarda), che per altro non mancano del mio nonno materno che sempre in quella guerra combatteva come Fante nell’Esercito Italiano, un ragazzo del ’99. E così dai racconti dei miei cari nonni ho scoperto Verità che i libri di storia non raccontano. Verità che loro nella loro semplicità genuinamente mi trasmettevano con la semplicità dei buoni, e mai uno parlava male dell’altro, anzi si stimavano e rispettavano a vicenda, sapendo che anche per loro la cosa che importava era sì la vittoria ma ancor più di tornare sani e salvi a casa dai loro cari.

Kaiserjäger


Qui ci scrive un altro lettore da Transacqua (TN), riguardo il medesimo argomento. Bisnonno Kaiserjäger e bisnonno fante.

Il nonno di mia mamma, milanese, era sull’Adamello coi taliani, e e’l sbarea su dove c’era il nonno di mio padre. Entrambi ne avrebbero fatto a meno, anche mio bisnonno Costantino Marinoni che credo non gliene importasse gran che né di Trento né di Trieste. Se ne sarebbe rimasto volentieri a casa con la famiglia e con i suoi libri. È stato in seguito nominato Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto... nel 1970! Ho qui davanti l’attestato in cartoncino A4 con due medagliette di latta attaccate. Ci han messo più di 50 anni per dargli un riconoscimento, e un ringraziamento. Appena in tempo, pochi anni dopo ci ha lasciati.
Per giunta se avesse voluto la medaglia vera (quella d’oro) per decorarsi il petto, avrebbe dovuto comprarsela.
Purtroppo lui e chi ha combattuto quella guerra difficilmente raccontava in famiglia i propri ricordi. Tentavano di sviare il discorso, si chiudevano in se stessi, anche al bar quando il vino rallegra i cuori e apre le bocche. Gli stenti e l’orrore che hanno vissuto è un fantasma troppo terribile da rievocare.
Mio bisnonno Costantino di quella guerra parlava solo del freddo, dei geloni in trincea, vagamente della paura di giorno e di notte, delle pallottole. Si ammalò di polmonite e i suoi compagni per salvargli la vita lo legarono a un saccone di pane secco e, a mo’ di slitta, lo lanciarono giù per il ghiacciaio. Per fortuna questa slitta improvvisata arrivò fino al campo base dove venne curato.
Dopo la guerra lavorò all’Alfa Romeo fino al giorno in cui una scheggia di metallo gli entrò in un occhio. Mi han detto che in ospedale si oppose a che glielo cavassero; senza nessuna anestesia con una sorta di calamita gli tolsero la scheggia dal bulbo, fuoriuscito tanto da essere visto dall’altro occhio. Continuò a lavorare altrove vedendoci solo dall’occhio sinistro ma per lui non è mai stato un dramma. Il dramma vero era già stato costretto a viverlo in una guerra che volevano solo in certi palazzi.
In tutta la mia vita dubito che arriverò mai ad essere nemmeno la metà dell’Uomo che sono stati questi ragazzi.


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