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Storie

Il fronte austro-ungarico
in valle del Fersina
dalla Panarotta
al Monte Croce (1915-1916)

da Doss Trent del dicembre 2002, pagg. 15 e 16

articolo

Tre i battaglioni che combatterono sulle montagne della Valle del Fersina lungo il fronte dal Monte Panarotta ai Monte Croce durante la Grande Guerra e negli anni 1915-1916.

Erano denominati: Reutte II, Zillertal e Kaltern I. La documentazione storica reperita dai ricercatori di Fierozzo riguarda i primi due battaglioni.

 

K.K. Standschiitzen Battailon Zillertal

Arrivò a Pergine il 25 giugno 1915 dove venne ispezionata dall’erede al trono principe Carlo. La consistenza del battaglione era di 15 ufficiali, 76 sottufficiali e 297 Schützen. In totale 388 uomini. Un mese dopo, il 24 luglio, il battaglione viene allertato e si avvia in marcia verso la Panarotta. Diviso in tre compagnie, prende posizione lungo il fronte. La prima compagnia sulla Cima Panarotta (quota 2002), la seconda compagnia a destra e a sinistra della Bassa (quota 1834), la terza compagnia si posiziona oltre, sulla costa della Fontanella (quota 2037); un plotone sale sulla cima Fravort (Frauwart e Hoachbort, a quota 2347). In questo primo periodo di attività, gli “Zillertaler” o “Rattenberger” Standschützen, come venivano chiamati, avevano il compito di costruire i primi ricoveri, le baracche, le trincee e i sentieri per i rifornimenti; costruirono inoltre una lunga trincea che dalla località “Pargoletti Semperspitz” si spostava verso l’avamposto sulla linea principale Sant’Osvaldo 1450 (verso Roncegno) - Valcanai 1035, occupata successivamente, nella primavera del 1916.

Portela, Kraizberg e a destra Hochmut

Portela (Türl) 1916, Kraizberg e a destra Hochmut

Sulla Panarotta dovevano prendere posizione distaccamenti di pochi uomini che comprendevano, almeno all’inizio, elementi di lingua italiana e alcuni Landschützen. Nella zona sommitale della Panarotta si trovava qualche reparto trasmissioni insieme a una batteria con alcuni vecchi cannoni da 120 mm modello 80 e una batteria germanica, la “Prussiche schiere Batterie nr. 102” del DAK (Deutsche Alpenkorps) composta da un cannone a lunga gittata da 10.5 cm e da due obici da 15 cm, al comando del capitone Rose (da cui il nomignolo di “Rosebatterie” con il quale essa era nota presso le truppe).

K.K. Standschiitzen Battailon Reutte II

Era comandato dal maggiore Hieronimus Saurer. Di stanza a Reutte (Tirolo), venne messo in stato di allerta il 23 maggio 1915 con partenza per Pergine Valsugana. Dopo un giorno di riposo nella cittadina all’ingresso della Valle del Fersina, riparte per raggiungere la posizione assegnatale: Palù, Palai in Fersental, sulla sponda orientale. Il 27 maggio, le tre compagnie del battaglione Reutte II partono da Palù con destinazione la Valcava (Balkof), Putzn, passo della Portela (Portle 2152), monte Gronlait 2383 (era ancora coperto da un metro di neve), Kesseljoch. La seconda compagnia viene così suddivisa: 30 uomini al comando del capitano Johan Schlager e del tenente Benjamin Bischof che occupano lo Schrimblerjoch, 15 uomini sotto il comando del tenente Heinrich Friedl che occupano la Cima del Lago (Seejoch, Barenjoch-Forcella del Lago) e 15 uomini sotto il sergente Kopfle che occupano il Passo d’Ezze (2184 m). Il resto del battaglione Reutte II rimane allo Seensattel (2191 m), con il compito di costruire le baracche del comando di battaglione, un’infermeria e una cappella da campo (Feldkapelle) con il cappellano militare padre Raimund Zolbl di Tannheim. Il sacerdote era anche fotografo e cronista del battaglione. A lui si devono le documentazioni scritte e le fotografie che sono contenute in un diario al momento in corso di traduzione completa. Fu appunto la sua Feldkappelle che gli alpini di Fierozzo ricostruirono due anni fa.

Si celebra la Messa nelle vicinanze di Palù del Fersina

Si celebra la Messa nelle vicinanze di Palù del Fersina

Padre Raimund Zobl ricorda nel suo diario una tragedia avvenuta nella notte tra il 12 e 13 marzo 1916. La neve era talmente alta che gli Schützen del battaglione Reutte II non potevano quasi uscire dai rifugi poiché nella notte il vento e la tempesta avevano accumulato enormi cumuli davanti alle porte. Alle 3 di mattina del 13 marzo, dalla vetta della Fontanella rovinò a valle una valanga che seppellì in pochi secondi l’accampamento della mezza compagnia di Landschützen. Una quarantina di uomini giaceva sotto le macerie dei baraccamenti ed i blocchi di ghiaccio e neve. Verso le 8, la notizia del disastro raggiunge gli Standschützen sulla Panarotta e quelli schierati tra Frauwort, Gronlait, Hoabonti e monte Cola. Nonostante il gravissimo pericolo, altre valanghe potevano staccarsi, i militari attraversarono il versante tra la Panarotta e il Weitjoch continuamente investiti dalla bufera. Il quadro che si presentò agli occhi dei primi soccorritori era allucinante: la grande baracca pareva accartocciata su se stessa, coperta da lastroni di ghiaccio e neve che il vento portava ovunque. Dopo ore di lavoro e di lotta contro gli elementi, riuscirono ad estrarre 9 uomini gravemente feriti e altri 14 incolumi. Altri 17, tra essi numerosi sottufficiali, erano morti sotto le macerie o soffocati dalla neve: erano quelli che dormivano al piano superiore delle cuccette sovrapposte. Il sole magnifico del 14 marzo illuminò e riscaldò un macabro cumulo di cadaveri irrigiditi ed avvolti nei teli tenda, accanto alle baracche rimaste intatte. Nessuno avrebbe potuto immaginare che quel tranquillo e meraviglioso paesaggio invernale appena 24 ore prima era stato teatro di una sì grave catastrofe. Venne scavata una grande fossa nella quale furono mestamente calate le salme. Il cappellano impartì la benedizione, quindi il colonnello Sloninka, comandante del reggimento, pronunciò toccanti parole d’addio ai camerati caduti.

Ricorda ancora che «Circondavano la fossa centinaia di soldati di ogni ordine e grado, Alla maggior parte di essi, sui visi impietriti dal freddo e dal dolore, scendevano le lacrime».


link Troppa falsificazione storica sulle linee della Panarotta
di Volker Jeschkeit


link Non fu una “Strafexpedition”
di Volker Jeschkeit



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