Era il 18 settembre 1993, quando i fratelli Stefano e Roberto Crostoni di Pesaro, appassionati della storia riguardante la 1ª Guerra Mondiale, decisero di fare un’escursione sul monte Colbricòn, teatro di aspri combattimenti. Quando giunsero sotto la cima occidentale, vicino ai resti del primo “dente”, fatto saltare dagli italiani con una mina il 12 aprile 1917, camminando fra i detriti trovarono un centurone.
Nel rimuovere i massi affiorò uno scarpone chiodato, ancora con le stringhe allacciate e notarono che all’interno c’era ancora l’osso della caviglia. Cercarono ancora e cominciarono a trovare altre ossa.
Si era ormai fatto tardi e furono costretti a seppellire il tutto. Segnalarono il luogo del ritrovamento con una croce improvvisata fatta con il reticolato e scesero a valle. Tornando al loro paese segnalarono il fatto al Comune di Siror e alla Stazione dei Carabinieri di Transacqua. Nei primi giorni di settembre del 1994, i fratelli Crostoni accompagnati dal padre ritornarono a Primiero. D’accordo con il comandante dei Carabinieri che nel frattempo ci fece sapere la storia decisero di ritornare sul posto per continuare le ricerche. Infatti la domenica mattina partimmo tutti per il recupero. Eravamo mio fratello Walter e io Ilario Simion, i due fratelli Crostoni con il padre, la Guida Alpina Renzo Debertolis, il maresciallo dei Carabinieri Paolo Spagnolo ed un altro carabiniere. Dopo tre ore di cammino arrivammo a quota 2.600 metri della cima occidentale del Colbricòn sul posto segnalato e cominciammo le ricerche. Tanta fu la commozione quando trovammo lo scheletro del povero soldato che vista la posizione informe delle ossa doveva essere saltato in aria durante lo scoppio della mina.
Dopo aver ricomposto le ossa per una foto, le mettemmo in una cassettina e dopo aver completato la compilazione dei documenti burocratici potemmo finalmente portare nel cimitero militare di Feltre e seppellirla nella tomba contenente le ossa di militi ignoti.
Siamo tornati ancora sul luogo del ritrovamento per cercare il piastrino di riconoscimento ma vani sono stati i risultati. Ritengo che potrebbe trattarsi dei resti di un soldato bosniaco perché combatterono proprio in quella zona.
Associazione Storico Culturale
Gruppo “I Recuperanti”
Pubblicato su “Mezzano in-forma ”, anno 1 n° 2
pag. 16, del Dicembre 2002
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