Da “l´Alto Adige”, mercoledì 8 agosto 2001.
Nei giorni scorsi a Caoria, nel Vanoi (Primiero), è stato presentata la seconda pubblicazione del gruppo alpini di Caoria «Casi da guerra dell’1914-1916», di Antonio Rattin (Picci) da Ronco di Canal San Bovo, Landschütze in Galizia, a cura di Luca Girotto, Aviani Editore.
Il Diario di guerra di Antonio Rattin, detto Picci, è stato scritto in un letto d’ospedale, dove Rattin era ricoverato in seguito a ferite riportate al fronte galiziano. Narra letristi vicende di un soldato che prima di tutto si sente e rimane uomo. Considera la guerra un’insensatezza, un disastro dalle conseguenze immani, un’inutile assurdità.
Antonio Rattin descrive il fronte orientale - lì dove attraversava le regioni della Galizia, della Bucovina, della Lovinia -, e i ripetuti scontri con il nemico: l’esercito russo. Le rinunce, le sofferenze fisiche ma anche morali, le battaglie, la morte. Come ha scritto lo storico Diego Leoni nel bel saggio “Il popolo scomparso”,
«gravissime furono le perdite subite dall’esercito austro-ungarico su quel fronte, e, in esso, gravissime quelle della componente trentina (...). Molti altri furono fatti, o si diedero, prigionieri dei Russi, iniziando in tal modo una lunga odissea attraverso gli sconfinati spazi dell’impero zarista (...)».
Un umile devoto all’imperatore
L’epopea del popolo trentino nel corso della Grande Guerra era già iniziata il 31 luglio 1914: in tutti i territori del vasto impero multietnico austro-ungarico, veniva diramato l’ordine della mobilitazione generale dell’esercito e della leva di massa. Antonio Rattin è un umile contadino, fervente cattolico, devoto al suo imperatore. Il Landschütze Rattin vede con i suoi occhi gli orrori, le follie “dell’uomo contro l’uomo”. Maledice, in cuor suo, la guerra e chi l’ha voluta. In certi momenti arriva a chiedere conto a Dio, a quel Dio a cui si è sempre rivolto, di un tale massacro. Trova conforto nella speranza di rivedere la famiglia e nella preghiera. Ma i patimenti e le peregrinazioni non sono finiti: una volta rientrato viene internato ad Isernia.
Muore nel 1955.
Il resoconto di Rattin è un pezzo di storia trentina che ci viene restituito dopo un oblio di oltre ottant’anni. Può essere la storia di tanti nostri padri o nonni, soprattutto di coloro che non tornarono più.
da l’Alto Adige di mercoledì 8 agosto 2001
Carlo Andreatta
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