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Storie

A NOVANT’anni dalla fine
della “Grande Guerra”...

Austria e Italia prima della guerra mondiale 1914-18 erano alleate.
Il 2 agosto 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Galizia in seguito al delitto di Sarajevo.
L’Italia non aveva nulla a che fare con questo delitto, eppure il 24 maggio 1915 dichiarò guerra all’Austria. Ma perché? Forse aveva preso di mira il Trentino?
Ma questa guerra all’Italia costò seicentomila morti: mica niente per le povere famiglie che persero i loro cari!
Ricordo quello che mi raccontavano i miei genitori: durante questo periodo erano entrati gli italiani. Il fronte era sulla Cavallazza e sul Colbricon: di là c’erano i tedeschi, qui nella Valle di Primiero giravano tutti italiani.
In seguito decisero di sfollare i paesi perché erano troppo vicini al fronte. Prima però dovevano consegnare tutte le bestie al governo: tutti i paesi delta valle dovevano portarle in località Stallagranda. La Stallagranda è un grande prato, ben presto fu riempito di mucche. Ma c’è stato qualcuno più restìo che non le consegnò.
Era il 1916 quando successe tutto questo tafferuglio.
Il giorno dopo aver consegnato tutte le bestie, arrivò un contrordine: non si partiva più. Una disdetta! Ormai le bestie erano andate ed erano state pagate una miseria. La gente era pure pronta per partire, un piccolo fagotto con il necessario per cambiarsi.
Il paese di Siror era già sfollato, anche quello dì Canal San Bovo. A Mezzano non avevano ancora cominciato a prendere su le famiglie per portarle in altri paesi giù per l’Italia. Però la campagna era tutta abbandonata, nessuno faceva niente. Dicevano: «Lavorare perché, se dobbiamo lasciare lutto!?». Neppure gli orti curavano, e con un groppo in gola guardavano le loro case che dovevano lasciare alla mercé del destino...

In quel periodo nelle scuole qui in paese (ora municipio) fecero l’ospedale da campo, portavano giù i feriti dalla Cavallazza e dal Colbricon, curandoli come potevano. Ne morirono tanti, li seppellirono nel nostro cimitero e su ogni tomba misero un cippo di porfido con su una piastrina e i loro nomi. Ora sono parecchi anni che hanno rimosso i resti per portarli nei Sacrari.
Qui intanto la guerra continuava e i feriti, quando s’erano un po’ ristabiliti, potevano girare per il paese. Si confidavano con la gente raccontando di quei giorni terribili che avevano passato lassù sul fronte. Ristabiliti dei lutto, dovevano tornare su di nuovo. Cerano di quelli che piangevano e dicevano «Colbricon, Colbricon, io non vedrò più la mia mamma...».
Quanti ne sono caduti, soldati, su quel fronte! Morirono tanti soldati italiani e anche tanti soldati tedeschi. I nostri paesi qui erano sempre in mezzo ai fronti. Quando combattevano sul Colbricon, Cavallazza, Cauriol, a quel tempo in valle c’erano tutti soldati italiani.
Io non ricordo bene le date, ma penso che su questi fronti abbiano combattuto per circa due anni. Dopo gli italiani dovettero ritirarsi appostandosi sul Monte Grappa, pertanto qui tornarono ancora i tedeschi. Sul Colbricon erano più fortificati i tedeschi, sul Monte Grappa gli italiani, ma morirono tanti soldati da ambo le parti.

In una seconda occasione in Valle ci fu l’ordine dì sfollare i paesi. Non ricordo bene le date e le circostanze che ci avevano raccontato i nostri genitori, ma mi sembra che i tedeschi, quelli che hanno deportato, siano stati portati a link Katzenau.
Nei campi degli Insoli avevano fatto l’ospedale da campo tedesco ma nell’ottobre 1918, senza nessun preavviso, se ne andarono via. Dopo pochi giorni la gente, accortasi che tutto era là incustodito, osò entrare e cominciò a prelevare tutto ciò che trovava. Anche mia madre un giorno vi andò. Quando fu vicina a questo campo vide per terra due soldati tedeschi che dormivano, pensò che fossero stanchi, forse venivano dal Grappa... Fece due passi e si imbatté in due soldati italiani. Questi, quando videro i due tedeschi, incominciarono a battersi all’arma bianca. Mia madre prese un grande spavento e fuggì a casa. Erano le ore 10 del 4 novembre 1918.
Quando i tedeschi incominciarono a ritirarsi, fecero razzie nei dintorni dei fronti; svaligiarono case coloniche, negozi, portando via di tutto. Prendevano carri, cavalli, e su questi carri caricavano tutta questa roba, forse con la speranza di portarsela nei propri paesi. Tutto ad un tratto questa colonna si fermò. Non so di preciso dove cominciasse, forse ai Masi o a Imer, e terminasse. Penso tra Fiera e Siror. I tedeschi piantarono là tutta questa roba, forse c’era il nemico che li incalzava. La gente, vedendo tutto questo, era sbigottita, non sapeva se la guerra fosse finita, nessuno sapeva niente ma aspettavano con ansia che tornassero i loro cari.
Ma vedendo tutta questa merce abbandonata senza alcun comando, un po’ alla volta si avvicinarono e... in un batter d’occhio tutto sparì.
Quando i tedeschi se ne andarono, gettarono via tutte le armi e le munizioni che possedevano, cosicché ce ne furono in ogni angolo del paese. A causa di queste bombe qui in paese persero la vita sei bambini.
Tre erano fratelli, dei cinque figli di Giacomo e di Orsolina Orsingher: Domenico di 12 anni, Costantino di 8 e Luigino di 4. I cinque fratelli giocavano sulla piazza davanti alla loro casa, e là trovarono la bomba fatale che scoppiò loro tra le mani. Purtroppo tre di loro rimasero uccisi e due soli si salvarono. Si può immaginare la disperazione dei genitori. II loro padre era appena tornato dalla guerra: un Kaiserjäger che in Galizia fu fatto prigioniero dai russi e là rimase per circa due anni, prima di tornare finalmente a casa. Tre giorni dopo il suo arrivo in paese, quando poté riabbracciare la moglie e i cinque figli, gli successe quella terribile disgrazia. Ma per questo pover’uomo non era ancora finita: dopo qualche giorno, infatti, ricevette l’ordine di partire, come internato ad Isernia.
Come lui. molti della Valle furono deportali ad Isernia alla fine della guerra. Li avevano perfino ammassati in una chiesa e in altre baracche. Patirono molta fame, freddo e pidocchi. Delle donne che passavano là davanti gli spulavano addosso e gli gridavano “Sporchi traditori!”.
Questa infame deportazione deve aver pesato non poco sulla coscienza di quelle persone che l’hanno ordita. Questi poveri soldati non sono stati soltanto eroi, ma dei veri martiri.
Altri tre bambini, sempre dì Mezzano, si erano recati fuori al Rivo Lengualetta (detto “roai”). Anche questi trovarono una bomba che fu loro fatale: morirono tutti e tre. Uno faceva Bonat dì cognome, dei Casoi; uno era degli Andoli, Crik di cognome. Il terzo era dei Ciolini, cognome Orsega.
Sempre nel 1918 fu ferito un altro giovane, Lino de Zorzi. figlio del “Checo Segretario”: un ordigno gli asportò due dita di una mano.
Un altro giovane (questo l’ho conosciuto anch’io) perse una mano maneggiando una bomba; in seguito lo chiamavano “zancheta” perché gli era rimasta solo la mano sinistra.

Quello che ho scritto è solo un piccolo riassunto di quello che è accaduto qui nella nostra Valle con la Prima Guerra. Vi sono stati morti, vedove, orfani, e tante paure, essendo i nostri paesi in mezzo ai fronti. Ma vi fu un grande cambiamento per la gente: prima erano sotto l’Impero Austro-Ungarico, alla fine si trovarono sotto il Regno d’Italia.
Prima della guerra il nostro territorio era il “Sud Tirol”, dopo diventò “Italia Redenta”, ed ora “Trentino-Alto Adige”.

12 agosto 2008
Dai ricordi di
Maria Romagna Raffael
pubblicato su Voci di Primiero, ottobre 2008




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