da Il Gazzettino del 27 aprile 2004 pag. II
(d.f.) La storia della Prima Guerra Mondiale ha lasciato un grande patrimonio di storie di vita e di personaggi che spesso possono apparire quasi inverosimili per il modo nel quale si svilupparono. Una di queste ebbe come scenario i monti che facevano da confine tra la valle del Biois, allora Regno d’Italia e la valle di Fassa, che in quegli anni era a pieno titolo annessa all’Impero Austro-Ungarico. Protagonista di questa singolare storia un soldato austro-ungarico di nome Guido Taufer, originario del Primiero. Un soldato questo, che nei primi mesi di guerra, si consegnò spontaneamente agli alpini della 206ª Compagnia del “Val Cordevole”. La cosa particolare di questa vicenda è che, dopo essersi consegnato, non fu come altri “irredentisti” spedito nelle retrovie, o destinato a servizi sedentari ma, dopo numerosi interrogatori ed accertamenti, fu ammesso come da sua richiesta, a frequentare il corso allievi ufficiali del Regio esercito e finì la guerra come ufficiale degli Alpini.
da Le montagne del destino 1915-1917
di Bepi Pellegrinon
Nuovi Sentieri editore, 1986
Nella notte del 28 luglio 1915 un pattuglione austriaco lascia l’accantonamento del Ciamp de Forcia, in Val di S. Nicolò. È composto di una trentina di uomini della Landsturm, comandati da un valoroso ufficiale, il primo tenente Polke, ottimo alpinista, che ogni notte si spinge in ardite ricognizioni verso le linee italiane. È un ufficiale di complemento, impiegato postale, bosniaco, che non veste mai la divisa, ma va sempre vestito da borghese e senza cappello. I suoi soldati lo chiamano “der Hirt” (“il pastore”). Compito del pattuglione è una vasta ricognizione lungo tutta la cresta del massiccio dell’Omo, fin verso le Cirelle, per accertare l’entità dell’occupazione italiana.
Per quella missione ha chiesto di aggregarsi volontario un giovane graduato ventenne, Guido Taufer, trentino di Primiero, specialista di collegamenti telefonici. È riuscito miracolosamente a sfuggire alla sorte degli altri Trentini, che, dopo le troppo numerose diserzioni dei primi giorni, sono stati, per lo più, trasferiti sul fronte galiziano. Il suo comandante, nel complesso un brav’uomo lo ha minacciato, qualche tempo prima, pistola in pugno, perché sorpreso a... cogliere stelle alpine, un po’ troppo verso le linee italiane. Ora, però, la sua richiesta viene accolta con entusiasmo, perché egli potrà rendersi molto utile, qualora fosse necessario operare segnalazioni ottiche alle proprie posizioni, in caso di difficoltà.
Verso l’alba, il pattuglione, in fila indiana, procede silenziosamente lungo i canaloni, ancora pieni di neve, che salgono verso un piccolo intaglio della cresta, fra la Cima delle Vallate e Forcella del Ciadìn, ad oriente del Sass de Costabella. Nessun segno di vita da parte degli Italiani. La salita si fa sempre più difficile e faticosa ed occorre vincere salti di roccia friabile. Il giovane Taufer si guarda attorno e rimedita il suo piano: fra poco, si allontanerà dietro una quinta di roccia, invocando un bisogno corporale e si dileguerà, in quel labirinto di torri, verso l’Italia...
Il malcapitato pattuglione non sa che, lassù, sulla forcella, quattordici occhi vigili di Alpini stanno seguendo, col fiato sospeso, le loro mosse. Su quella forcella (battezzata “Forcella Y” e, più tardi, “Forcella dell’Alpino”) c’è un nostro piccolo posto: sei Alpini, al comando del caporale Giuseppe Fant della 206ª, di Mas, a pochi chilometri da Belluno. Stringe il cuore vedere quella fila di uomini ignari, allineati lungo il canalone, come una pacifica comitiva, che si avvii all’alba per una escursione alpinistica. Là il caporale Fant sa qual è il suo dovere. È tutto come nella caccia al camoscio...
Silenziosi come ombre, gli Alpini, si appostano dietro spuntoni di roccia, alzo a cento metri, dito sul grilletto. Ad un cenno del caporale, parte la scarica micidiale. il valoroso e sfortunato “Hirt” cade fulminato, assieme ad altri sei dei suoi. Gli Alpini ricaricano e sparano senza tregua. Altri due uomini si afflosciano feriti. I superstiti si lasciano scivolare per il canalone. Altri colpi vanno a segno. Corpi precipitano in basso. Qualcuno, ormai in fondo, tenta di rispondere al fuoco. Nelle posizioni austriache è dato l’allarme. I due pezzi di artiglieria di Prà di Contrìn aprono un fuoco disordinato, perché non hanno una idea precisa del luogo dello scontro.
Lassù, appena sotto la forcella, due uomini sono rimasti incolumi, aggrappati precariamente alle rocce: Taufer ed un Lanzinger di Sesto. A quest’ultimo una pallottola ha strappato via il fucile e non se ne sa dar pace. Taufer è aggrappato alla roccia, metà a cavalcioni di un cadavere. Sente distintamente le voci degli Alpini, che fanno il bilancio delle loro vittime e parlano di scendere a far bottino di armi e documenti e per recuperare le salme.
Sottovoce Taufer propone in tedesco a Lanzinger di spostarsi in una posizione più favorevole. Messosi, cosi, al sicuro da una possibile reazione del commilitone, si scopre, gridando agli Alpini di non sparare, che si arrendono. Gli Alpini rispondono che vengano avanti. Traversando a destra, assieme all’ormai rassegnato compagno, Taufer vede finalmente coronato il suo sogno di irredento. Il caporale Fant, che non si aspetta certo di trovarsi di fronte un mezzo paesano, lo saluta in tedesco. Gli Alpini sgranano tanto d’occhi a sentirsi rispondere quasi nel loro dialetto. Ma non c’è tempo per convenevoli, perché l’artiglieria austriaca ha notato il movimento ed individuato la posizione, aprendo un fuoco preciso e rabbioso. Un Alpino è leggermente ferito e gli altri debbono portarsi al riparo, subito sotto la forcella. I due prigionieri scambiano le bombe a mano, di cui sono ancora in possesso, con buone pagnotte, oltremodo gradite.
I primi prigionieri di guerra del Battaglion “Val Cordevole” a Fociade. Lanzinger di Sexten e Guido Taufer di Primiero,
catturati a Forcella dell’Alpino (29 luglio 1915).
Nel pomeriggio i due si avviano sull’opposto versante, fieramente scortati dagli Alpini, verso il Comando della 206ª. A parte la simpatia per il giovane patriota, negli Alpini c’è una buona dose di umanità, che la ferocia del combattimento può ottenebrare solo momentaneamente. Tutti si fanno in quattro per fare qualche regalo ai “nemici” che, alla fine, si trovano le tasche piene di una incredibile quantità di cerini, l’unico bene di cui gli Alpini potessero largamente disporre! Al Comando della 206ª il comandante li accoglie con buone maniere ed offre loro un ottimo “Virginia”. Indi, vengono avviati a Fociàde, dove giungono all’imbrunire.
Qui l’entusiasmo di Taufer riceve la prima doccia fredda. È sottoposto, da parte di un colonnello di Fanteria e del suo caramellato ufficiale di ordinanza ad una specie di interrogatorio di terzo grado, con mille domande trabocchetto. Dopo una giornata cosi drammatica e ricca di emozioni e fatiche, Taufer non ci vede più e manda al diavolo l’ufficiale. Questi si inalbera e lo minaccia nientemeno che di fucilazione. Taufer risponde filosoficamente che tant’è: pochi giorni prima lo voleva fucilare il suo ufficiale austriaco, per sospetto di diserzione. Che, adesso, fossero fucili italiani, la cosa cambia di poco! Per fortuna, si intromettono il tenente Andreoletti ed i volontari trentini Trappmann e Brigadoi, che prendono le sue difese, osservando che tutte le informazioni fornite sono preziose ed esatte od attendibili e provano i sentimenti del giovane trentino.
Il tenente Andreoletti prende in consegna i due prigionieri, li fa rifocillare con un buon mezzo pollo e, fuori della tenda piazza, a far buona guardia, due ceffi di Alpini baffuti, con tanto di baionetta in canna, che sarebbero bastati a tenere alla larga tutti i plotoni di esecuzione di questo mondo.
Al mattino, con la scorta dei due Alpini, Taufer raggiunge Falcade. Qui viene affidato a due “Aeroplani” della “Benemerita” che lo conducono a Cencenighe, dove è lasciato libero di circolare per il paese. Ad ogni passo militari e civili strabuzzano gli occhi a vedere un Landsturm, con tanto di fiocco e mostrine, che passeggia indisturbato. Invitato alla mensa di un Comando, deve ripetere per la millesima volta la storia delle sue avventure. Un cuoco ignorante non si perita di dargli del “Vigliacco” ed il bollente trentino non si può tenere e lo mette K.O. con un preciso diretto. Così si ritrova, poco dopo, a braccetto di due “Aeroplanini” sulla porta della lurida prigione locale. L’indomani finisce alla caserma di Agordo dove, finalmente, può fare un bagno radicale e spidocchiarsi, dopo di che dormirà per due giorni di fila.
Appena rimesso in forma, chiede insistentemente di essere arruolato con le truppe italiane. Dovrà passare ancora per non poche traversie, ma alla fine, il suo sogno si appaga e finirà la guerra quale valoroso ufficiale dei nostri Alpini.
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