da Il Gazzettino del 30 dicembre 2004, pag. IV
CORTINA - Alpini contro Kaiserjäger, quando si tratta della prima Guerra mondiale combattuta sulle Dolomiti, spesso si riconduce lo scontro a questo dualismo. In realtà fu soprattutto la fanteria, da una parte e dall’altra del fronte, a combattere le battaglie più cruente, più sanguinose. Fu determinante l’utilizzo di alcune specialità delle forze armate, come quella dei genieri, capaci di allestire mine poderose e far brillare tonnellate di esplosivo per demolire intere montagne, come accadde sul Castelletto della Tofana e sul Col di Lana. Ma i genieri costruirono anche strade, ponti, scavarono gallerie, edificarono forti e sistemarono trincee: molti di questi manufatti vengono recuperati oggi, testimonianze di una storia di cui molti uomini del Duemila vogliono sapere.
Resta intatta l’immagine dell’epopea sulle crode, enfatizzata durante il conflitto e nei decenni successivi; in questo utilizzo propagandistico delle vicende belliche le imprese degli uomini in grigioverde, con il moschetto e la piccozza, la bomba a mano e la corda, la baionetta e i chiodi e i moschettoni, Alpini e Kaiserjäger, ebbero un ruolo di primo piano. Il reclutamento di questi soldati, in entrambi gli schieramenti, avvenne prevalentemente nei paesi, nelle vallate di montagna. I Cacciatori dell’Imperatore provenivano proprio dai paesi di confine, dalle vallate contese fra Italia e Impero austroungarico. È il caso dei tre comuni di Colle Santa Lucia, Cortina d’Ampezzo e Livinallongo del Col di Lana, sino alla prima Guerra mondiale compresi nel Capitanato d’Ampezzo, il più piccolo dell’Impero. Accadde a Teofilo Gillarduzzi “de Jobe”, nato il 6 settembre del 1899, settimo di quattordici figli, orfano di padre a dodici anni. Quando scoppiò la guerra si trovò a Bressanone, venne intruppato e spedito a Villach, in Austria. Poi passò alla scuola di artiglieria, imparò a sparare con il cannone; le esplosioni gli lesionarono i timpani e la sordità è l’acciacco che oggi, a 105 anni portati con invidiabile energia e dinamismo, lo affligge maggiormente.
«Gli Italiani cantavano che lo straniero non avrebbe passato il Piave, ebbene io l’ho fatto, sono passato di là - racconta - e con me l’hanno fatto migliaia di altri soldati, nell’autunno del 1918, e ho sparato con il cannone, sino a quando ho avuto munizioni. Poi, quando sono finite, ho ricevuto l’ordine di ripiegare. Mi hanno fatto prigioniero gli Arditi, poi sono ritornato a Cortina a piedi, passando per il Trentino, sino alla nostra casa di Lacedel». Se Teofilo è ritornato, ed oggi narra la sua storia di guerra, una delle poche che può ancora essere raccontata, grazie alla longevità del protagonista, le altre giacciono nei libri, sono esposte nei musei. Oppure rinascono grazie a iniziative culturali, come la ricostituzione della Schützenkompanie Anpezo Hayden. Una milizia territoriale fatta di tiratori scelti, destinati alla difesa del loro paese, con una propria divisa e armi personali, affiancati alle truppe regolari, durante la prima Guerra mondiale. Un mondo che oggi rivive nella passione di un gruppo di volontari che ha un solo scopo: perpetuare la memoria.
Marco Dibona
Un cortinese con la divisa degli Asburgo
Cortina perde Teofilo l’uomo dei tre secoli.
Combatté la Grande Guerra
LINK - Il ritorno a casa dalla prima guerra mondiale nei ricordi del centenario Teofilo Gillarduzzi. Da Le pagine di Storia locale di Paolo Giacomel del sito
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