La vita militare
Il primo agosto del 1914, Carlo dichiarò a sua moglie:
“Io faccio veramente l’ufficiale con animo e corpo, ma non capisco la gente così entusiasta di vedere partire in guerra i propri parenti...”
Inizia a 15 anni come sottotenente del primo reggimento degli Ulani.
Viene mandato in guarnigione in Boemia ma anche a Kolomea all’estremo confine est dell’Impero. Guadagna dappertutto la simpatia dei suoi soldati.
Nel maggio 1916 lo vediamo a capo del XX corpo d’armata “Edelweiß” nell’offensiva della primavera sugli altipiani di Folgaria, Lavarone e Asiago. Troviamo un Arciduca severo con i suoi ufficiali, ai quali chiede di rendere conto per ogni soldato caduto inutilmente. Lo vediamo in prima linea a soccorrere i feriti, anche nemici. Con l’aiuto di un certo Padre Schmid vedremo il giovane Imperatore occuparsi delle case dei soldati. Luoghi che dovevano distrarre sanamene il soldato per evitare che vada a cercare sfogo altrove...
Prima di accedere al trono, viene mandato, “per imparare”, a Teschen in Boemia, al comande centrale dell’esercito. Lì ha modo di conoscere il militarismo testardo della Germania di Luddendorf e Hindenburg e dei loro imitatori austriaci. Non apprezzerà mai la mentalità del “Siegfrieden”, cioè della pace ottenuta esclusivamente tramite la vittoria delle armi, anche a scapito del buon senso più fondamentale. Avrà delle frasi molto pesanti contro questo accanimento bellico della Germania, sua alleata. Le sue parole erano seguite dai fatti. A differenza del suo alleato Guglielmo II che subiva e non condivideva il militarismo esasperato dello stato maggiore tedesco, Carlo non esitò, appena asceso al trono, a prendere personalmente in mano il comando supremo dell’esercito e a trasferirlo da Teschen (Boemia) a Baden presso Vienna. Avrà il coraggio di cercare la pace, attirandosi e sopportando la critica da parte dei più alti vertici dell’esercito. Lo criticheranno come bigotto, debole succube di sua moglie. Carlo non s’intimorisce. Il maresciallo austriaco Conrad von Hötzendorf, ossequioso verso il partito militarista tedesco sarà, infatti, destituito da Carlo il 27 febbraio 1917 e al suo posto sarà nominato il barone von Arz, più incline a ricercare la pace. Forse, se Guglielmo II avesse avuto lo stesso coraggio nel sostituire i vari Hindenburg e Luddendorf, la guerra sarebbe finita con molti meno morti.
Nel 1917 Carlo non esiterà a schiacciare il freno della guerra proprio nei momenti di più grande successo militare. Per esempio quando dopo la grande disfatta di Caporetto, l’esercito austro-tedesco arriva al Piave, Carlo si oppose alla traversata del fiume. I tedeschi, furiosi di questa decisione si ritirarono. Anche se questo arresto dell’avanzata consentiva al nemico di ricostituirsi, come, di fatto, avvenne, Carlo nella sua lungimiranza considerava l’impossibilità di una vittoria militare e la necessità di cogliere il momento favorevole per fare la pace. Calcolava i tre milioni ottocento mila soldati americani, che dovevano ancora entrare in guerra; prevedeva l’impossibilità materiale di vincere la guerra per via della volontà di distruzione, d’annientamento della cristianità da parte dei vertici del mondialismo che governava e imponeva la sua volontà tramite la stampa agli stessi governi alleati.
“Io la finisco con questa guerra”
Non se la sentiva più di rendersi corresponsabile di quello che non era più una guerra ma un macellarsi a vicenda. Il fotografo di Corte, Heinrich Schuhmann rende testimonianza del seguente episodio che avvenne nella zona del Monte Santo, Monte S. Gabriele, Doberdò. Durante una visita al fronte, dopo la decima battaglia dell’Isonzo, vedeva i battaglioni, la sera salire in trincea. Le trincee nemiche erano distanti di pochi metri. Appena subentrava la notte, i mortai da 28 centimetri annientavano da parte ed altra interi battaglioni. Al cospetto di un battaglione annientato con un solo colpo, senza aver combattuto e visto il nemico, l’Imperatore s’inginocchiò, fece la sua preghiera e poi disse ad alta voce:
“Questo nessuno lo può giustificare davanti a Dio! Io la finisco con questa guerra”.
Nel settembre 1917, dopo la undicesima battaglia sull’Isonzo sull’altopiano della Bainsizza le forze austro-ungariche erano stremate e vediamo Carlo disposto a rinunciare al Trentino e a Trieste purché finisca questa carneficina. Dopo Caporetto le cose certamente cambiarono.
“Se dobbiamo crollare,
almeno facciamolo con dignità”
(Francesco Giuseppe)
L’Austria Ungheria viene accusata d’essere colpevole dello scoppio della prima guerra mondiale. Ma se Francesco Giuseppe era convinto di quello che disse nel 1866, che un qualsiasi conflitto militare sarebbe la fine definitiva della Monarchia danubiana, se dopo le prime grandi vittorie nel 1914 spiegava a Zita che questa volta sarebbe stata la fine definitiva dell’Impero, come avrebbe potuto volerla, questa guerra?
Nello spirito del manifesto “an meine Völker” di Francesco Giuseppe del 1914, così anche Carlo il 21 novembre 1916 fece pubblicare un manifesto delle sue idee politiche, del suo programma governativo.
“... Voglio fare tutto per scongiurare gli orrori e sacrifici della guerra, per ridare ai miei popoli il bene cosi gravemente offeso della pace ferma restando la salvaguardia dell’onore delle nostre armi, delle necessità vitali dei miei popoli e dei loro fedeli alleati e non appena lo consentirà la tracotanza dei nostri nemici...”
Era il 1916. Le potenze centrali fanno le prime proposte di pace agli alleati.
La salvaguardia dell’onore
delle nostri armi
prima condizione per la pace
Fine 1915, la Serbia è sottomessa, nel gennaio del 1916 il Montenegro, e nel dicembre cade Bucarest, la Romania è presa. La pace con la Russia di Brest-Litovsk, del 3 marzo 1917, si sta avvicinando. Insomma, all’inizio dell’anno 1917, la sorte delle armi, prima condizione del manifesto per fare pace, è favorevole.
Purtroppo la Germania si era accanita inizio febbraio del 1917 nel “uneingeschränkter Ubootkrieg” la guerra dei sottomarini ad oltranza. L’analisi di questa guerra dei sottomarini ci apre il primo spiraglio verso quei poteri che trascendono i governi e le presunte cause di questa guerra, e che proseguono i loro business in vista del governo mondiale dei maghi e dell’alta finanza.
L’aspetto lucrativo di questa guerra spiega il paradosso del bilancio economico dell’“Ubootkrieg” tedesco. Non poteva sfuggire ai comandi tedeschi che gli anglo-americani ricostruirono più navi che loro affondarono, cioè più di 16 milioni tonnellate affondate per opera dei sottomarini tedeschi. Sembra come se la Germania aiutasse al nemico di smaltire la merce prodotta per aumentarne la produzione. Non era proprio quella guerra dei sottomarini che fece entrare (che forse aiutò ad entrare) gli Stati Uniti d’America in guerra il 6 aprile 1917?
Un altro esempio che illustra quanto la guerra faceva comodo a chi faceva affari con industriali, anche della parte avversa. Si tratta del bacino minerario di Briey Thionville, di proprietà della famiglia franco-tedesca de Weland o von Weland. La Germania in tempo di pace ne ricavava il 90% del suo bisogno minerario. Ora il fabbricante francese de Weland aveva un suo cugino al Reichstag tedesco. La Germania era molto interessata a mettere mano su questa miniera. Poincaré temeva molto questo fatto. I tedeschi però poterono impadronirsi della zona senza che da parte francese fu opposta qualsiasi resistenza. Il generale francese Verreaux che comandava una divisione in quel tratto del fronte, pubblicò a guerra finita la lettera che ricevette in busta chiusa e che doveva aprire soltanto all’avvicinarsi del nemico. L’ordine era di abbandonare Briey-Thionville senza combattere.
Appare dunque come primo ostacolo ai negoziati di pace il militarismo abbinato ad interessi economici nei quali erano anche implicati i vertici militari tedeschi seguiti in parte anche dagli austriaci.
In agosto del 1917, dopo l’undicesima battaglia sull’Isonzo, la battaglia della Bainsizza, l’Austria si trovava agli sgoccioli e Carlo era convinto, che oramai una vittoria militare non era più possibile. Era disposto a cedere all’Italia le terre “irredente”, purché si giungesse alla pace. A questo proposito scrisse al suo ministro, il conte Czernin:
“... dobbiamo fare la pace... prima degli altri... chi oggi fa la pace sarà l’uomo grande, anche se perde un po’ del suo territorio”...
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